mercoledì 26 settembre 2007

La prima volta

Qualche settimana fa c’è stata una bella riunione di famiglia alla festa degli alpini del paesello in cui abitano i miei. Polenta e brasato tra zii e zie, cugini e cugine, cognati, consuoceri e chi più ne ha più ne metta. Un evento raro per la mia famiglia, poco unita da questo punto di vista, poco incline ai grandi raduni, ai ritrovi organizzati per il puro piacere di vedersi, di salutarsi, di scambiare quattro chiacchiere.
E’ stata decisamente una bella serata e per me anche una specie di dichiarazione/conferma al parentado, più o meno tacita e più o meno ufficiale, del mio essere in coppia con Pietro.
Tra tutti i partecipanti c’era pure mia cugina Barbara con la quale, a fine cena, durante una “pausa sigaretta”, si è parlato apertamente e per la primissima volta della mia omosessualità. Ad un certo punto, dopo averle raccontato la nostra storia e i nostri passi più recenti, se ne viene fuori con un bel “ma cosa ve ne frega se l’Italia è bigotta e non vi permette di sposarvi. Tanto voi la casa insieme l’avete comprata, vivete insieme, di fatto siete una coppia a tutti gli effetti”.
Me ne vergogno come se avessi fatto un torto alla causa omosessuale, prima che a me stesso, ma è stato lì che mi sono reso conto di non essere in grado di spiegare a un eterosessuale qualsiasi (quindi non la tua migliora amica, che ti conosce da quando avevi 5 anni e con la quale passi più tempo possibile) il valore, il significato, il motivo per cui desidero che la mia coppia sia riconosciuta e considerata come una famiglia, senza distinzione alcuna da quella tradizionale. E non perché non abbia saputo argomentare con parole sufficientemente convincenti ed efficaci le mie rimostranze ma perché non sono stato in grado di contrastare in qualche modo quel suo sguardo vacuo, perplesso, tipico di chi prova ad ascoltare ma non capisce. Mentre parlavo infatti, mentre tentavo di spiegarle il mio concetto di “visibilità” e di “riconoscimento sociale”, mi rendevo sempre più conto che in fin dei conti lei è eterosessuale, cresciuta in un contesto sociale in cui il problema non solo non è un problema, ma neppure esiste come argomento, come concetto da discutere. Un po’ come un vocabolo sconosciuto: non ne puoi conoscere il significato semplicemente perché non sai nemmeno della sua esistenza. Ho capito che quelli che cercavo di trasmetterle sono concetti così intrinseci nella sua vita, talmente permeati nel suo dna da non essere nemmeno più presi in considerazione dalla coscienza, dalla ragione; argomenti così lontani anni luce da quella quotidianità preconfezionata in cui è nata e in cui vive da non rendersi nemmeno conto che quello che per lei è, per l’appunto, quotidianità, normalità, consuetudine, per qualcun altro, per me e per Pietro, è in realtà un beneficio, un privilegio, uno status che ancora non abbiamo raggiunto.
Per carità, so perfettamente di aver scoperto l’acqua calda, ed è forse anche vero che né io né mia cugina siamo due menti eccelse, due arguti individui in grado di filosofeggiare sui massimi sistemi, ciò non toglie che per me è stata la prima volta. La prima volta in cui mi sono trovato di fronte (e su cui ho provato a soffermarmi) a questo gap, a questo divario di percezioni che, allo stato attuale delle cose, mi pare decisamente insormontabile.
Come ne vengo fuori, dunque? Voglio dire, come faccio a far capire, non a parole bensì nel profondo delle viscere, nella pancia, col cuore? A qualcuno di voi è capitata la stessa cosa? Qualcuno di voi, nel momento stesso in cui parlava di queste cose, ha avuto la palpabile percezione, la concreta certezza, che l’interlocutore stesse realmente capendo ciò che gli stavate comunicando anziché annuire solo perché è cosa gradita farlo?Ma soprattutto, perché dev’essere sempre tutto così complicato?

9 commenti:

Anonimo ha detto...

vedi "omonimo" il problema è tutto li: far capire che ciò che per gli etero è consuetudine per noi non lo è. Sembra banale ma i vari diritti di assistenza, visita, in generale "riconoscimento" a noi sono negati. Non è scritto da nessuna parte che perché tu e Pietro avete comprato casa un domani tu puoi disporre in toto e nessuno può metterci bocca...
è faticoso, è deprimente...
Fabio

Fabio ha detto...

Ma esisterà pure un formulario, un prontuario, un vademecum, uno straccio di qualcosa da dire, da fare, con lo scopo di "far capire" alla gente quanto anche tu hai scritto sopra...
O non c'è niente? :-(

Anonimo ha detto...

eheheheh, no, sarebbe troppo facile altrimenti e troppe battaglie sarebbero già storia :)

resta solo da affidarsi alla nostra capacità di spiegare - purtroppo - la nostra vita, i nostri affetti, i nostri desideri e bisogni... sperando di non trovare - dall'altra parte - un muro di gomma :))
F.

Unknown ha detto...

e a chi non è capitato?

io di solito cerco di spiegare:

vedi, anche se avessi tutti i diritti che hai tu, anche se non avessi nessun tipo di ostacolo pratico a che la mia storia fosse come la tua.. e non è così.. ma anche qualora lo fosse, mi mancherebbe sempre una cosa.

mi mancherebbe di essere riconosciuto come lo sei tu.
per il nostro paese, noi non esistiamo. quattro anni di vita insieme, di piatti lavati, di lenzuola cambiate, di spazzatura portata fuori, di viaggi in macchina, in treno, in barca e in aereo, di sesso, di lacrime e di tv, di problemi e di successi, di abbracci e di vaffanculo.. tutto questo non esiste ufficialmente.

e finchè "noi" non esistiamo, una parte di me non esiste. quindi il mio paese, non riconosce l'esistenza di una parte di me.
io qui, vivo solo a metà!

p.s. complimenti per il blog, e per la coppia :-))

oscar

Fabio ha detto...

Temo tu abbia ragione FabioakaFireman, ma... io per ogni evenienza copio/incollo nel cellulare il commento di Oscar! :-D

@Oscar: oltre che per il suggerimento, grazie anche per i complimenti! :-)

Unknown ha detto...

ero ispirato vero?
però ti avverto. dopo questa filippica, generalmente mi rispondono:
vabbè, ma che te frega?
e allora mi cascano le braccia e rinuncio..
baciozzi

Anonimo ha detto...

Caro Fabio,
a me è successo quasi sempre. Sono anche certo che tua cugina, a meno che non sia proprio superficialotta, avrà continuato a pensare a te e a Pietro anche nelle ore e nei giorni successivi. Al di là dell'incoraggiamento suo spontaneo, sono certo che il tuo parlar chiaro avrà anche effetti di lungo periodo. Magari non arriverà a provare vera compassione (nel senso originario della parola) per la tua, la nostra condizione, ma si avvicinerà di più.
Del resto, Fabietto, se parlassimo solo di diritti, le differenze non sarebbero così estese: diritto ereditario, diritto all'assistenza (importante sì, ma francamente non è il mio primissimo pensiero), e altri diritti pregni di senso economico.
Il fatto vero è che, secondo me, molti non capiscono il mio/nostro sentimento d'amore. Non vorrei dire una cosa qualunquista, ma penso che se una coppia gay decide di vivere assieme, il livello di affiatamento sia ben maggiore di quello che nasce in una coppuia etero, che è schiava dell'abitudine, del "si fa così". In molti matrimoni "normali" vedo molto poco amore.
E a questo punto, quello che compatisce, sono io.
A conferma di questo, nei dibattiti su pacs, dico, cus abbiamo sempre sentito parlare di natura, della società destinata a finire se ci fossero solo gay, e tante altre stupidaggini. Si è parlato del valore sociale della famiglia ma nessumo me lo ha mai spiegato: mi è venuto il dubbio che nessuno me lo sapesse fondare. Il valore sociale della coppia è la felicità che l'amore dà. Una coppia sana è fatta di due persone più felici. Questo vale per gli etero come per gli omo. E questo valore va riconosciuto sia a noi che a loro.
Quello che più mi turba è proprio questa incapacità della società di capire l'amore: sembra anestetizzata.

Anonimo ha detto...

E' vero, un etero non ha ben presente questi discorsi che noi gay abbiamo ormai fatti nostri. Ma chi è curioso ascolta, mentre lo sguardo di tua cugina sembra più dimostrare una mancanza di attenzione, la scarsa voglia di provare a mettersi nei tuoi panni. La speranza è che la curiosità vinca prima o poi... ma se non succederà, non ti crucciare. Il mondo si cambia una persona alla volta, e incontrerai altre persone che ti ascolteranno di più. Anzi se questa era la tua 'prima volta', direi che sei fortunato e ne hai già icontrate tante...

Fede ha detto...

Che bel post...Credo che groovynowhere abbia ragione, ci vogliono molto impegno e una grande sensibilità per mettersi nei panni degli altri...è evidente che non tutti ne hanno voglia o ne sono capaci. Ho appreso in questi giorni che in alcune scuole superiori della mia zona stanno facendo delle ore di sensibilizzazione all'omosessualità, in orario di lezione. Il ragazzo che me l'ha detto l'ha definita "una cosa del tutto inutile, perchè io li accetto già, purchè non vogliano niente da me" :D ...ok, non so se stiano sortendo qualche tipo di effetto, però dal mio punto di vista è un'iniziativa importante.

Ah...non so perchè ma il tuo post mi ha fatto venire in mente un romanzo, Flatlandia, di un tale Abbot. Leggilo se ti capita...